Alli Beltrame, counselor e formatrice certificata in comunicazione efficace con il metodo Gordon è ormai un punto di riferimento sui social e sul web (ma non solo!) di una nutrita e partecipe comunità di genitori, sopratutto mamme; dalla pagina Instragram Alli.Beltrame al gruppo Facebook “Meglio prevenire che sgridare” che conta 50.000 utenti fino al suo sito web Educazione Responsabile è ricco di contenuti e progetti correlati tra cui l’omonima serie di podcast andata in onda l’anno scorso in esclusiva per Spotify, che quest’anno vedrà il bis!
Sono le 21.30 di sera e Alli mi dedica una mezz’ora di tempo; entrambe siamo mamme e come voi immaginate prese tra lavoro, famiglia e emergenze anche educative.
Per conto mio è un piacere intervistarla e ascoltare il suo punto di vista, potente, empatico e consapevole, di cui c’è davvero bisogno in questo periodo storico.
Alli, il cuore del tuo lavoro ruota attorno all’importanza di una buona ed efficace comunicazione nelle relazioni e in particolare nelle relazioni tra bambino e dualità di riferimento sopratutto nei primi anni di vita.
Quanto le parole sono importanti nello sviluppo di un bambino?
Le parole hanno una influenza sullo sviluppo del cervello del bambino e sulla sua mente, determinandone i comportamenti e l’immagine di sé e del mondo. Parole che includono negazioni di un comportamento come “non fare”, “non comportarti così” tendono a chiudere la possibilità di sviluppare competenze e limitano lo sviluppo del potenziale del bambino. Per questo il mio primo libro che a breve uscirà anche tra gli Oscar Mondadori “Invece di dire, Prova dire” è uno strumento utile per i genitori che si rendono consapevoli dell’importanza di potenziare attraverso le parole lo sviluppo del bambino, ponendo i giusti limiti ma invogliandolo allo sviluppo di competenze, non solo al fare ma al pensiero di fare. Tutto ciò che si crea nasce da un pensiero. La relazione con i bambini-ma anche tra adulti- si crea sulla base di ciò che gli diciamo, si plasma attraverso il contatto fisico, attraverso baci e abbracci, e la sicurezza stessa dei più piccoli si fonda su ciò che siamo abituati a dirgli.
Secondo te quali sono gli errori più comuni che noi adulti di riferimento, genitori, insegnanti, rappresentanti delle istituzioni abbiamo fatto o stiamo facendo in questo particolare momento storico, toccato da una pandemia che inizialmente ha portato via tempi e spazi dei bambini anche a seguito di disposizioni di legge o sanitarie?
Errori ne facciamo tanti, io stessa da mamma potrei farne. Solitamente sono abituata a pensare in termini di potenzialità ma, se ti riferisci a quanto successo in pandemia, più che errori dei genitori credo che sia stato drammatico quanto avvenuto a livello istituzionale: fin dal primo lockdown non sono stati tenuti conto i bisogni di socialità e di movimento dei bambini e dei ragazzi.
Sono stati chiusi in casa per 3 mesi, 3 mesi ricordiamocelo, e anche ora che sono cambiate le disposizioni e fuori dalla scuola la vita è ripresa più o meno normale, in ambiente scolastico ci troviamo ancora con una organizzazione e regole che non favoriscono lo sviluppo pieno del bambino.
Parliamo di neuroscienze ma c’è poca attenzione su questi temi di attualità. Pensiamo ai “non ambientamenti” nei nidi o alla materna o al fatto che fin dalla prima elementare i bambini debbano stare seduti, fermi e imbavagliati al banco per tante ore.
Nel caso degli inserimenti, se non vengono rispettati i tempi del bambino, si rischiano disagi e anche traumi che si porteranno dietro da adulti. Quello dell’inserimento è comunque un momento molto delicato, ora più che mai. Ho mamme che mi chiamano disperate perché il figlio piange o non vuole più andare al nido. Consideriamo che questi sono i primi approcci all’ambiente scuola che lasceranno una impronta. Da un lato chiediamo ai bambini di proteggersi dagli estranei con comportamenti e mascherine per prevenire i rischi sanitari, dall’altro li affidiamo a maestre, educatrici che sono di fatto delle estranee in fase iniziale. Il rischio è di confondere i bambini e anche in una emergenza sanitaria come questa qualcosa si può fare. Non dobbiamo pensare che siccome la scuola è un ambiente più facile da controllare non ci siano rischi laddove non si tiene conto della “dimensione” bambino, dei suoi bisogni reali, differenti per fascia di età. Se si può fare per uno stadio, una partita si possono trovare soluzioni anche per la scuola; prevedere più spazi e tempo all’aperto, favorire l’educazione in movimento. E’ risaputo e ormai confermato dagli studi neuroscientifici che l’apprendimento del bambino è favorito dal movimento. Invece adesso, in alcune scuole, non si fa più nemmeno educazione fisica.
Certo non possiamo far fare ai bambini quello che vogliono ma possiamo porre dei giusti limiti. Il cervello dei bambini non è cambiato perché c’è il COVID. Alcune regole attualmente in vigore che riguardano bambini e ragazzi sono contro la loro fisiologia quindi è bene aprire una discussione sul tema e trovare soluzioni percorribili. Questa denuncia viene ormai da più parti da tutti noi che ci occupiamo di infanzia. Per quanto riguarda una prima elementare, immaginate la difficoltà di apprendimento con la mascherina, in special modo se è il docente a portarla…cambia anche il suono delle parole, a volte si fa fatica a sentire.
Data la situazione di fatto cosa consigli ai genitori per ridurre disagi e eventuali traumi? Quanto conta la serenità dei genitori?
Si solitamente è vero: se la mamma è serena il bimbo è sereno ma a tutto c’è un limite.
L’unico consiglio che posso dare a chi si trova in difficoltà, perché non è garantito un adeguato ambientamento che rispetti i tempi dei bambini, è quello di rimandare a tempi migliori, tenerli a casa se si può, ma questo è molto discriminatorio e va a colpire le famiglie, in particolare modo quelle che non hanno risorse per farlo al nido e alla materna ma anche nel caso di home-schooling che richiede molte energie e dispendio economico.
I servizi per la famiglia dovrebbero intervenire per rispettare i bisogni delle famiglie anche i questo momento storico. La situazione dall’anno scorso è migliorata ma si può e si deve fare di più. Rischiamo di trovarci adulti neurologicamente più fragili.
Interveniamo dove si può per garantire adeguati ambientamenti, alleggeriamo il clima di severità e spavento; i bambini non possono nemmeno scambiarsi una penna e i più grandi devono segnare il nome in alcune scuole ogni volta che vanno in bagno
Per di più abbiamo letteralmente spinto una intera generazione nel mondo del web e ora il mondo dei social e di internet è il loro mondo, la loro socialità si muove lì. Il mio prossimo libro a cui sto lavorando ora sarà su questo tema: come usare la tecnologia in modo costruttivo.
Lo sport può essere una via di salvezza in tutto questo?
Lo sport è la salvezza e ha salvato la salute mentale di molti bambini e ragazzi in questo periodo e anche dei miei figli, skater professionisti. Lo sport sviluppa competenze a 360°. Sono diversi gli studi sul cervello degli sportivi che confermano essere più sviluppato, così come quello dei musicisti o di chi si avvicina all’arte.
A scuola il sistema di insegnamento tradizionale lascia poco spazio all’attività motoria, alla musica, all’arte che favorirebbero lo sviluppo di competenze importanti.
Un bimbo impara di più se salta, lotta, corre, balla: competenza sociali, motore, cognitive. A una certo punto intorno ai 12 anni quando è il momento il suo cervello sarà pronto per l’intellettualità, quando si sente competente a livello fisico e sociale.
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